di Guglielmo Marchelli

La graduale introduzione del processo civile telematico, fino alla sua definitiva obbligatorietà a decorrere dal 31/12/2014 per tutti i Tribunali e 30/06/2015 per le Corti d’Appello, ha imposto agli operatori del settore l’adozione di specifici programmi per elaboratore, onde effettuare il deposito e l’estrazione, presso gli uffici competenti, degli atti giudiziari in formato elettronico.
Il sistema prevede la creazione di una cd. “busta telematica”, ovvero, di un archivio (*.enc) contenente gli atti (firmati digitalmente dal professionista) che viene crittografato con la chiave pubblica dell’ufficio giudiziario di destinazione ed inviato a mezzo PEC dall’indirizzo mittente del professionista abilitato.
É altresì previsto un sistema di consultazione dei fascicoli di causa da parte del professionista incaricato, ma anche dal cittadino o del soggetto “parte” del giudizio civile, attraverso appositi “Punti di Accesso” che prevedono un sistema di autenticazione basato su certificato rilasciato da appositi certificatori accreditati, normalmente inserito nel dispositivo di firma elettronica.
Svariate critiche si potrebbero muovere al sistema di deposito telematico anzi descritto.
In effetti, per fare un paragone con il passato, sarebbe come dire che l’avvocato (o il CTU), per depositare i propri atti, dovesse ogni volta spedire al Tribunale un plico raccomandato a/r, in luogo di recarsi personalmente in Cancelleria.
È lecito domandarsi se fosse stato più opportuno implementare il deposito degli atti mediante autenticazione sul Punto di Accesso e caricamento diretto dei file (upload) sul server ministeriale, in combinazione con strumenti tecnici di tracciatura (log), tali da consentire la riferibilità del deposito al professionista titolare del dispositivo di autenticazione e l’apposizione della data certa alla busta (es. mediante marcatura temporale della busta).
Si sarebbe potuto così evitare l’inutile consumo di risorse che oggi avviene con lo scambio di messaggi PEC di svariate decine di Megabyte fra professionista e Cancelleria (allo stato il PCT prevede ben 4 ricevute PEC, fra cui la prima che restituisce al mittente l’intero archivio .enc).
Dopo l’introduzione del processo telematico si è potuto assistere al proliferare di programmi per elaboratore più o meno avanzati, sviluppati quasi esclusivamente per il sistemi operativi MS Windows e rilasciati con licenza “closed source”.
Tali applicativi, oltre a non essere multi-piattaforma, vengono distribuiti ad un prezzo molto elevato rispetto alle funzionalità effettivamente offerte.
Molte software house produttrici hanno adottato una strategia commerciale consistente nel “fidelizzare” numerosi utenti mediante la stipula di convenzioni pluriennali con gli ordini professionali, concedendo in un primo momento il proprio software ad un importo “scontato”, per poi alzare notevolmente i prezzi e/o recedere dalla convenzione, onde imporre il proprio prezzo all’utente ormai abituato ad utilizzare quel determinato “prodotto”.
La conservazione e la gestione dei dati mediante questi programmi avviene, molto spesso, mediante formati proprietari sviluppati dalla stessa software house, con evidente rischio per la portabilità dei dati stessi (anche personali), qualora il professionista volesse migrare verso altri applicativi (cd. “lock-in”).
Certamente, non è questa la sede per sindacare la liceità o l’eticità di tali strategie commerciali (Mi limito ad osservare che l’Antitrust nel 2016 ha aperto un’istruttoria tesa ad “accertare eventuali condotte abusive che avrebbero riguardato l’intera filiera dei sistemi informatici per lo svolgimento di servizi che attengono alla funzione giudiziaria”.).
In verità, parliamo di programmi piuttosto semplici che uniscono gli schemi ministeriali per creazione ed invio telematico delle cd. “buste” a mezzo pec, con il servizio gratuito di consultazione dei fascicoli (il tutto eventualmente condito con un gestionale un po’ datato per l’amministrazione delle pratiche dello studio).
Quello che, tuttavia, è bene chiarire, è che tutti i programmi per elaboratore atti ad effettuare il deposito telematico e/o la consultazione dei fascicoli PCT, non erogano, né potrebbero erogare funzionalità e/o servizi diversi e più avanzati rispetto a quelli messi a disposizione ed implementati sul server ministeriale.
In verità, tutte le operazioni essenziali di deposito e di consultazione e di estrazione atti, possono essere effettuate gratuitamente, con la combinazione di applicativi liberamente reperibili sul web.
La consultazione e l’estrazione di “duplicati” e di copie di atti e provvedimenti dai fascicoli telematici possono essere effettuati, previa autenticazione con il proprio certificato, mediante l’accesso diretto al portale del Ministero, pst.giustizia.it (all’interno del quale sono anche elencati numerosi altri punti di accesso privati e pubblici).
Le funzionalità di deposito telematico possono invece essere effettuate mediante l’installazione dell’applicativo SLPCT (www.slpct.it): un software redattore e creatore di buste completamente gratuito, che opera in combinazione con i più diffusi client di posta elettronica.
Detto software -rilasciato con licenza “open source”- viene costantemente aggiornato con l’evolversi degli schemi ministeriali del PCT ed è liberamente installabile su tutti i computer all’interno del proprio studio.
SLPCT è perfettamente multi-piattaforma poiché è sviluppato per i principali S.O. desktop (Ms Windows, Linux, MacOS).
Non possiamo soffermarci sulla differenza fra “freeware” da un lato e “free software” / “open source” dall’altro (nelle loro svariate e sottili distinzioni), tuttavia, vorrei da ultimo sottolineare che le considerazioni che precedono non sono limitate al PCT ma possono essere estese a tutti gli strumenti software dedicati alle professioni legali.