di Giacomo Conti

Nell’era del Web 2.0 è più che mai attuale la massima secondo la quale: “Se non paghi un prodotto, allora il prodotto sei tu”.

Tutti noi utilizziamo i servizi della società dell’informazione quali, ad esempio, Google, Facebook, Amazon, Netflix. Giganti tecnologici come Apple sviluppano, inoltre, le proprie piattaforme commerciali App Store, iTunes Store e Apple Books.

Mentre alcuni servizi prevedono un sistema di fruizione attraverso il pagamento di un canone, altri servizi operano in maniera più subdola e, dietro un’apparente gratuità, chiedono in realtà come corrispettivo i nostri dati personali che vengono forniti da consumatori, molto spesso, inconsapevoli.

I dati dei consumatori vengono, infatti, monetizzati e ceduti a terzi oppure utilizzati direttamente dal fornitore del servizio attraverso un’attività promozionale per aumentare la vendita dei propri prodotti e/o di quelli di terzi. Questo, a prescindere dal fatto che si paghi o meno per il servizio.

Dopo avere tracciato un quadro generale sulla complessa relazione fra piattaforme online, consumatori (Platform2Consumer) e utenti commerciali (Platoform2Business) e dopo avere il modello economico di queste piattaforme, l’intervento ha lo scopo di mettere in relazione i profili di interferenza fra protezione fra il diritto alla protezione del dato la protezione del consumatore.

Nella seconda parte verranno poi approfondite i procedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti di Google Ireland Ltd. e di Apple Distribution International Ltd dove entrambe le piattaforme sono state sanzionate per 10 milioni di euro ossia per il massimo edittale secondo la normativa vigente.  L’Antitrust ha, infatti, accertato per ogni società due violazioni del Codice del Consumo, una per carenze informative e un’altra per pratiche aggressive legate all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori a fini commerciali.

 

 

 

Per il testo integrale dei provvedimenti dell’AGCM:  v. https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2021/11/PS11147-PS11150Platform2bus

 

In allegato le slide dell’intervento al convegno e-privacy XXXI – ««Privacy tra attivismo e scienza» – prima giornata – pomeriggio

220929 SLIDE CONTI EPRIVACY

con l’Avv. Andrea Lisi, l’Avv. Giacomo Conti e il Dott. Alessandro Bottonelli

Lo ho-BIT ‖ Ep.16

Sospesi tra due realtà: il web non è più “altro” rispetto alla nostra realtà fisica. Al suo interno coesistono nuovi spazi “essenziali” per la società, quali servizi, piattaforme, app e strumenti di lavoro a distanza.

L’evoluzione tecnologica non riguarda più solo i modelli di business: l’enorme potere dei grandi player influenza anche le dinamiche individuali e il quadro dei rapporti sociali.

L’Avv. Andrea Lisi affronterà con l’Avv. Giacomo Conti, specializzato in nuove tecnologie e web reputation, e Alessandro Bottonelli, CEO & Lead Advisor di AxisNet, l’importanza di conoscere i meccanismi e imparare a utilizzare in modo consapevole il web “partecipativo”, anche per evitare di divenire a nostra volta oggetto di “utilizzo” da parte delle stesse piattaforme o di chi le gestisce.

 

Link al contenuto video: 🟣 Quanto apparteniamo alla rete? 🟣 Lo ho-BIT – Andrea Lisi – MRTV – YouTube

di Giacomo Conti

Scegliere un certo social network perché rispetta la nostra privacy è come decidere di fumare una certa marca di sigaretta perché è attenta alla nostra salute o, almeno, più delle concorrenti.

Così come il fumo danneggia la nostra salute, i social network presentano rischi per la nostra vita privata e privacy di cui dobbiamo essere consapevoli.

Prima di scandalizzarci per la violazione della nostra privacy da parte delle piattaforme online, basti pensare come anche le nostre banche, ad eccezione dei sempre più rari pagamenti operati con contanti non tracciabili, siano in grado di conoscere a fondo i nostri acquisti e come possano profilarci, ugualmente, con agevolezza mediante ogni pagamento che effettuiamo con carta di credito o bancomat.

Ultimamente, si presta sempre più attenzione a quello che i social network fanno con i nostri dati personali e con le nostre vite. In questo senso, il GDPR che ha contribuito ad affermare una cultura basata sul dato personale e la recente apprensione sul tema è un effetto benefico nel medio termine del GDPR che ha fatto crescere la consapevolezza dell’utente medio nell’utilizzo dei servizi online.

Prima di comprendere appieno il fenomeno e per evitare di creare inutile e dannoso allarmismo è necessario comprendere come i social network operano e traggono i propri profitti. Del resto, è evidente che le grandi piattaforme come Google, Facebook e Clubhouse non sono onlus che operano con la speranza di lasciarci un mondo migliore.

I social network sono dei media e, come quotidiani e reti televisive, vendono spazi pubblicitari da cui traggono i propri profitti. Tuttavia, a differenza dei media tradizionali, i social network riescono a studiare l’utente e a vendere pubblicità mirate attraverso la cosiddetta profilazione. La pubblicità mirata e profilata ha, quindi, indubbiamente un valore maggiore rispetto alla pubblicità ordinaria in quanto raggiunge un target specifico sulla base di un preventivo studio di dati. Inoltre, maggiore è al crescere della base utenti, maggiore è il prezzo che gli inserzionisti pagano alla piattaforma per acquistare gli spazi di réclame virtuali.

Senza trovare definizioni metafisiche, l’art. 4 GDPR definisce profilazione come qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell’utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica. In particolare, questo processo può venire utilizzato per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l’affidabilità, il comportamento, l’ubicazione o gli spostamenti di una persona fisica.

Grazie a questa attività i social network non vendono generici spazi commerciali, ma una pubblicità mirata ritagliata sulla base della personalità tracciata dell’utente e dei suoi interessi e sulla base dei dati raccolti nell’ambito della fruizione del servizio. Ad esempio, sulla base dei contenuti visionati, dei like e condivisioni operate o, anche, sulla base del tempo dedicato al singolo contenuto o annuncio.

È, quindi, evidente come il fruire di un social network sia incompatibile con ogni concetto più basilare di privacy: quando accediamo al servizio permettiamo alla piattaforma online di conoscere i nostri gusti e la rendiamo partecipe di ogni aspetto della nostra vita che si articola all’interno del social. Quanto è apparentemente gratuito è pagato con la nostra attenzione, il nostro tempo e attenzione per permettere agli inserzionisti (i cosiddetti utenti commerciali) di inviarci pubblicità mirata studiata sulla base dei nostri interessi.

Al pari del fumo, i social network presentano dei rischi evidenti per la nostra vita, in quanto creano di vera e propria dipendenza da connessione e penetrano le nostre vite distraendoci dalla nostra attività e inducendoci, anche modificando il nostro comportamento, verso determinate scelte di acquisto. È sotto gli occhi di tutti come, grazie alle informazioni che raccolgono su di noi, le piattaforme online plasmano il servizio sulle nostre esigenze tenendoci appiccicati allo schermo il più possibile.

Tuttavia, sarebbe ipocrita negare che questi servizi possono apportare significativi benefici a noi tutti, a differenza del fumo.

È importante, però, capire se siamo disposti a pagarne il prezzo, ossia la nostra riservatezza con il rischio di possibile creazione di dipendenza, a fronte di quello che ci offrono.

Per pensare ai vantaggi, basti pensare ai vantaggi di creare una rete professionale attraverso LinkedIn, alla possibilità di rimanere in contatto con amici con cui avremmo poche possibilità di contatto attraverso Facebook o, ancora, di approfondire passioni e interessi attraverso YouTube che offre un patrimonio di conoscenza prima inimmaginabile anche al più dotto enciclopedico.

I social network in sé, pertanto, non sono un fenomeno da demonizzare, ma al più, da comprendere.

Posto che noi veniamo usati dalle grandi Big Tech a cui cediamo i nostri dati e informazioni che riguardano le nostre vite, è innegabile che riceviamo dei vantaggi dai servizi di cui siamo utenti e prodotti al tempo stesso.

Così come noi veniamo usati dalle piattaforme online, noi dobbiamo essere consapevoli e capire come usare il servizio a nostro vantaggio.

Prima di accedere a un servizio social network dobbiamo capire:

  1. in che modo i social network penetrano e interagiscono con le nostre vite e sfera personale,
  2. se siamo disposti a cedere i nostri dati personali a fronte del servizio che ci viene offerto,
  3. perché noi usiamo i social network e quali vantaggi possiamo trarre dal loro utilizzo se e ne sono,
  4. a quali rischi ci espone il loro utilizzo.

Solo dopo avere compreso questi aspetti saremo utenti consapevoli in grado di trarre tutti i vantaggi possibili dal servizio facendoci usare il meno possibile. In altri termini, dobbiamo trasformarci da prodotti inconsapevoli a prodotti consapevoli.

 

Autore: Giacomo Conti

Editore: Maggioli Editore

Pubblicazione: Novembre 2020 (I Edizione)

ISBN / EAN 8891643469 / 9788891643469

Collana: Collana Legale

 

Prefazione:  “La libertà è partecipazione” e l’inestrinsecabile legame fra corpo elettronico e materiale

 

I sogni di libertà ed emancipazione che si fondavano su un’idea di progresso tecnologico che avrebbe reso tutti liberi appartengono a un’epoca passata.

I sogni di idillio e trascendenza tecnologica, secondo cui la tecnologia ci avrebbe liberati dalle fatiche umane permettendoci di elevarci e trascendere e liberarci dalla nostra gabbia materiale per avvicinarci a un altro reame dell’esistenza, appartengono a società utopistiche ben lontane dalla nostra.

Queste sono e restano sulla carta, o in formato e-book, descritte in romanzi di fantascienza.

Permane, però, il legittimo interrogativo relativo alla libertà reale che gli strumenti del Web partecipativo 2.0 ci offrono e il quesito si pone, in ogni caso, immutato nei seguenti termini: “Internet, il Web e le tecnologie della società dell’informazione hanno migliorato la nostra esistenza rendendoci più liberi?”.

In un certo senso, si può e si deve dare una risposta affermativa alla questione, in quanto le tecnologie di Rete ci hanno liberato da fatiche non solo fisiche ma anche intellettuali. Le tecnologie basate sulla Rete ci hanno, infatti, sicuramente resi più informati, talvolta istruiti, e hanno semplificato le nostre attività di ricerca e approfondimento intellettuale contribuendo a soddisfare le nostre più svariate curiosità.

È, pertanto, innegabile che le dinamiche del Web partecipativo abbiano  migliorato qualitativamente le nostre vite ed esperienze di consumo grazie alle numerose informazioni e opportunità che i servizi di Rete ci offrono. Senza contare, peraltro, la comodità di consumare senza doversi recare fisicamente al negozio fisico.

Rimane aperta, però, la seconda parte del quesito, ossia se le tecnologie di Rete ci abbiano o meno resi più liberi rispetto al passato.

In teoria, le dinamiche partecipative dei servizi della società dell’informazione avrebbero dovuto renderci ancora più liberi, più in grado di comprendere il mondo che ci circonda, grazie al patrimonio informativo che continuamente ci regalano, prima inimmaginabile anche per il più dotto dei dotti.

Del resto, se è vero, per citare Gaber, che “La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione”, ci dobbiamo chiedere dove sia la nostra agognata libertà. ci troviamo, infatti, in una società dove la partecipazione è assoluta e i nuovi strumenti di comunicazione ci permettono di condividere con una libertà prima impensabile il nostro pensiero e reperire una mole inimmaginabile di informazioni con pochissimo sforzo.

Dov’è, quindi, che le promesse di libertà ed emancipazione sono state tradite?

A dispetto degli innegabili progressi che la rivoluzione del Web partecipativo ha apportato non si può, infatti, dire che si sia creata una maggiore libertà.

Al contrario, tutti noi, volenti o nolenti, ci troviamo sempre più integrati nei servizi della società dell’informazione e nelle dinamiche partecipative del Web 2.0 e non ne riusciamo più a fare a meno.

Molti di coloro che hanno vissuto e sperimentato la rivoluzione del Web hanno ottime ragioni per sentire, in realtà, traditi i loro sogni di libertà. Siamo sempre più impegnati a relazionarci attraverso social network da cui non ci riusciamo a sconnettere, a ricercare novità e informazioni attraverso motori di ricerca e a comperare online beni e servizi di cui prima non conoscevamo l’esistenza e che, adesso, sono diventati inspiegabilmente indispensabili e imprescindibili.

La connettività, nei suoi aspetti relazionali e partecipativi, riguarda tutti gli aspetti della nostra vita nelle sue dinamiche personali e professionali e tutti ci troviamo forzosamente connessi senza alcuna reale via di scampo.

Può essere che il prezzo del maggiore benessere di cui attualmente godiamo abbia richiesto il sacrificio della nostra libertà?

Da un lato, quasi tutte le persone fisiche si trovano ad avere un profilo social network, ad esempio su Facebook, LinkedIn, Twitter o altri social network; e, dall’altro, sempre più imprenditori offrono i propri beni e servizi mediante marketplace e altri servizi della società dell’informazione come, ad esempio, TripAdvisor o Amazon.

Sempre più persone, fisiche o giuridiche, inoltre, si trovano indicizzate all’interno di motori di ricerca: inserire un semplice parametro come nome e cognome può, infatti, produrre risultati che a loro volta riconducono a elementi riferiti alla persona ricercata come, ad esempio, un sito o un blog personale, foto personali condivise in Rete, un profilo social network o, ancora, articoli pubblicati, interviste rilasciate o articoli di giornale online dove la persona ha formato oggetto di cronaca e proprio attraverso questa simbiosi con i servizi della società dell’informazione si estrinseca il nostro corpo elettronico: la proiezione digitale all’interno della Rete del nostro corpo materiale.

Tutte queste tracce digitali di noi – che noi stessi in prima persona lasciamo  o che altri lasciano di noi – contribuiscono a consolidare e formare la nostra Web presence (o presenza sul Web), composta dei “pezzi di ciascuno di noi che sono conservati nelle numerosissime banche dati dove la nostra identità è sezionata e scomposta, dove compariamo ora come consumatori, ora come elettori, debitori, lavoratori, utenti dell’autostrada” (1).

Il Web 2.0, con le sue dinamiche partecipative, ha accelerato e amplificato  questo processo di astrazione del nostro corpo materiale in qualcosa di diverso, ibrido e prima inimmaginabile.

Pur senza raggiungere il Regno dei cieli, il nirvana o altri reami dell’esistenza, anzi forse per certi aspetti allontanandoci dagli aspetti più nobili della spiritualità più pura che in tempi passati era posta come una delle più grandi virtù, una parte sempre più significativa della nostra vita si svolge online.

Questo reame dell’esistenza non si trova, però, in un regno diverso o irraggiungibile ed è facilmente accessibile attraverso strumenti che sono banali come un dispositivo che si può connettere a Internet e una connessione Internet.

Il Regno dei cieli è davvero qui fra noi e accessibile a tutti?

È davvero così facile ascendere?

Davvero non è più necessario intraprendere percorsi ascetici o immergersi in attività contemplative o meditative per distanziarsi dalla realtà in cui viviamo per muoverci in un dominio più nobile dell’esistenza?

Ma, soprattutto, l’astrazione del nostro corpo materiale in un corpo elettronico ci nobilita davvero come vorremmo, dovrebbe o sarebbe giusto?

A ben vedere, lungi dal distanziarci dal mondo materiale, dai nostri desideri e dalle nostre paure, quanto avviene online influenza pesantemente le nostre dinamiche relazionali e professionali che si articolano offline.

Così come noi proiettiamo online una parte del corpo materiale, a mo’ di ombra digitale, una parte del nostro corpo elettronico proietta un’ombra materiale che si ripercuote, psicologicamente e materialmente, nel dominio dell’esistenza analogica.

Siamo davvero più liberi oppure siamo aggrovigliati in un miscuglio inscindibile di realtà inestricabili?

In questo contesto di inestricabilità fra corpo materiale e corpo elettronico, reame digitale e reame analogico, si inseriscono i servizi della società dell’informazione che influenzano e governano aspetti preponderanti e cruciali delle nostre vite.

Le dinamiche relazionali alla base del Web partecipativo che ha creato il  Web 2.0 sono, infatti, quasi integralmente miste e si basano su una sempre maggiore e crescente interconnessione fra il nostro corpo elettronico e il nostro corpo materiale. Si crea, pertanto, un’entità ibrida fatta di atomi e di bit, di molecole e di gigabyte.

I nostri desideri, ansie, paure e speranze arrivano a seguirci sia quando ci connettiamo che quando siamo sconnessi; sempre che sconnettersi sia, in realtà, possibile. A ben vedere, gli aspetti più importanti della nostra vita restano sottratti irrimediabilmente al nostro dominio proprio a causa delle  dinamiche che la partecipazione all’interno della vita online ci impone.

È evidente come i servizi della società dell’informazione basati sul Web  governino sempre di più la nostra vita personale e professionale e come non possiamo più fare a meno di questi, anche se spesso vorremmo sconnetterci, isolarci e sottrarci al continuo bombardamento di informazioni cui veniamo sottoposti.

Per questi motivi non siamo più realmente padroni delle nostre vite, ma sono le piattaforme digitali a garantire i nostri diritti fondamentali, a permettere alla nostra persona di esprimersi e a dare voce al nostro corpo elettronico: i nostri desideri finiscono in whishlist di cui i cybermediary diventano custodi, le nostre curiosità e segreti sono inseriti in motori di ricerca che le destrutturano e le indicizzano rendendole uniformi e privandole dell’unicità che noi pensavamo che avessero. Inoltre, la nostra voglia di esprimerci si articola in post condivisi attraverso social network, così come la nostra socialità oramai può prescindere dal bisogno di scendere in piazza e trovare luoghi fisici per socializzare ed esprimere le nostre idee e, di conseguenza, la coesione sociale sembra diventare sempre più tenue.

I servizi della società dell’informazione sono diventati, quindi, indispensabili per molte persone fisiche, che attraverso di essi si esprimono e si relazionano con gli altri, e per molte imprese, che li utilizzano per perseguire la propria attività economica.

Si pensi, in questo senso, all’importanza per una PMI di avere una propria web presence su Amazon o di essere adeguatamente indicizzata su
Google per ottenere un importante vantaggio competitivo sui propri concorrenti.

Alla luce del quadro tracciato si deve dare, quindi, risposta negativa alla nostra esigenza di libertà che appare sicuramente frustrata.

Molti diranno che questa è stata sacrificata sull’altare di qualcosa di più importante, come l’accesso alla conoscenza attraverso ricerche operate online, la possibilità di partecipare e dire la nostra, probabilmente anche quando forse sarebbe opportuno tacere, la possibilità di acquistare quello che vogliamo quando vogliamo e di vedercelo consegnato a casa senza che sia necessario uscire quando quasi certamente due passi e una boccata d’aria fresca non ci farebbero male.

Siamo, quindi, ora più che mai lontani dalla trascendenza cui aspiravano gli antichi, i filosofi e gli illuminati dei tempi passati?

In un certo senso, probabilmente no, in quanto il corpo elettronico, la nostra proiezione digitale, ci ha permesso di raggiungere a tutti gli effetti un reame diverso dell’esistenza, creando la cosa più simile all’anima che questa società materialista riesce a concepire.

Il nostro corpo elettronico vive senza mangiare, bere, dormire e necessita  solo di connessione e di dati. non è questa forse libertà?

Ma questo corpo è davvero nostro?

Possiamo davvero governare le sue  dinamiche che avvengono all’interno della Rete?

A ben vedere, abbiamo un controllo molto limitato sul nostro corpo elettronico, in quanto in Rete tutti sono liberi di dire la loro in una piazza dalla eco infinita che rimbomba nei secoli imperituri e di coinvolgerci in discussioni che non ci riguardano o a cui non siamo interessati.

Gli algoritmi dei motori di ricerca e dei social network a cui siamo iscritti ci bombardano o sottopongono alla nostra attenzione altre persone o prodotti che, forse e molto probabilmente, preferiremmo ignorare.

Non sono forse queste forme di violenza elettronica, tentativi subdoli ma al tempo stesso violenti di coartare la nostra libertà?

L’aggressione al nostro corpo elettronico cesserà solo quando le persone che cercano l’informazione vi perderanno ogni interesse, le Wiki non
verranno più aggiornate o i cybermediary, custodi dell’informazione, arriveranno a rimuoverla per gentile concessione o per un ordine di un’Autorità che, al momento, appare ancora superiore.

In realtà, a ben vedere, ora più che mai siamo prigionieri di una gabbia elettronica, custodita dai vari Amazon, Google e Facebook, che ci comprime e mai come ora siamo stati così poco padroni delle informazioni che ci riguardano. contrariamente a ogni ragionamento logico, siamo più liberi ma al tempo stesso più prigionieri e ora più che mai guardiamo il mondo come i prigionieri della caverna di Platone.

La risposta al paradosso logico secondo cui partendo da premesse vere e false al tempo stesso si producono conclusioni vere e contraddittorie fra loro si può dare nei seguenti termini: il Web partecipativo e i cybermediary hanno ribaltato il rapporto tradizionale della libertà che non è più una “libertà da qualcosa”, come ad esempio ingerenze indebite nella nostra sfera personale, ma una “libertà di fare qualcosa”, come commentare, condividere contenuti, criticare altri, acquistare con semplicità ciò che ci aggrada e vedercelo recapitato comodamente a casa.

In questo contesto, ciò che si pensa di noi offline viene proiettato online e  ciò che ci riguarda online ha precipitati nelle nostre dinamiche professionali e personali che si articolano offline.

Il quadro di interconnessione è, quindi, continuo, complesso e si autoalimenta e impone di rivoluzionare il modo attraverso cui noi pensiamo e ci relazioniamo con i servizi della società dell’informazione.

Queste nuove dinamiche relazionali personali e professionali e la sempre crescente integrazione fra ciò che avviene online e ciò che avviene offline lasciano aperti numerosi interrogativi:

Siamo davvero più liberi e felici?

Siamo davvero più colti, istruiti e consapevoli?

Riusciamo a distinguere ciò che avviene in Rete da ciò che avviene offline?

Siamo davvero in grado di distinguere la nostra ombra digitale dalla nostra ombra materiale che proietta la luce del sole?

Ai posteri l’ardua sentenza”.

Giacomo Conti

 

Per maggiori informazioni sul testo v. https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-2.html

 

(1) Salviamo il corpo, di Stefano Rodotà, stralcio dell’intervento al convegno su “Trasformazioni del corpo e dignità della persona”, Roma, 4 maggio 2005.

Autore: Giacomo Conti

Editore: Maggioli Editore

Pubblicazione: Ottobre 2020 (I Edizione)

ISBN / EAN 8891643452 / 9788891643452

Collana: Collana Legale

 

Prefazione: Il World Wide Web come la spezia di Dune. L’estensione della conoscenza e l’annullamento dello spazio tra realtà e fantascienza. Gilde spaziali e cybermediary.

L’estensione della conoscenza e l’annullamento dello spazio tra realtà e fantascienza. Gilde spaziali e cybermediary.

Siamo nell’Universo di Dune creato da Frank Herbert nel 1965, ambientato nell’Anno Domini 10191: l’universo conosciuto è governato dall’imperatore Padishah Shaddam IV e, per l’umanità, la più preziosa e vitale sostanza dell’u-niverso è il Melange, la spezia.

La spezia allunga il corso della vita.

La spezia aumenta la conoscenza.

La spezia è essenziale per annullare lo spazio.

La potente Gilda spaziale e i suoi navigatori, che la spezia ha trasformato nel corso di oltre 4000 anni, usano il gas arancione della spezia che conferisce loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè, di viaggiare in qualsiasi parte dell’universo senza mai muoversi.

La spezia esiste su un solo pianeta nell’intero universo conosciuto. Un arido e desolato pianeta con vasti deserti.

Il pianeta Arrakis è conosciuto anche come Dune (1).”

Senza troppa speculazione e inventiva e togliendo l’aspetto esotico che caratterizza il celeberrimo romanzo: l’umanità, correva l’anno 1989, inventava quanto più di simile esiste alla spezia, ossia la Rete. Il World Wide Web, per come noi lo conosciamo, è al pari della spezia di Frank Herbert un formidabile strumento che in poche decadi ha rivoluzionato i rapporti economici e sociali, cambiando profondamente la società in cui viviamo.

A differenza della spezia, tuttavia, è estremamente facile accedere al World Wide Web: è, infatti, sufficiente munirsi di un dispositivo collegato alla Rete e di una connessione Internet offerta dagli operatori telefonici a costi sempre più economici.

Lungi dall’esistere su un solo remoto e desolato pianeta, sempre più persone sul globo terrestre hanno accesso a questa formidabile tecnologia da cui sono sempre più dipendenti.

La Rete, al pari del Melange, assuefà chi vi si connette che ne diventa sempre più dipendente, a prescindere dal fatto che la connessione al Web sia operata per esigenze personali oppure legate allo svolgimento di un’attività di impresa.

Nell’Universo di Dune, solamente la Gilda Spaziale detiene il monopolio sul commercio della spezia e anche questo dato si presta a un’analogia con il nostro universo.

Nel nostro universo, gli intermediari digitali, al pari della Gilda Spaziale, hanno un monopolio di fatto sui servizi della società dell’informazione nell’ambito dei quali dispensano benefici, punizioni ed erogano giustizia sulla base di termini e condizioni che loro stessi hanno stabilito. Si pensi a Google per i servizi di motori di ricerca, ad Amazon per l’E-commerce o, ancora, a Microsoft per i sistemi operativi e gestionali per consumatori e imprese.

La Rete ha cancellato precedenti confini e limiti dettati dallo spazio fisico e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza al pari della spezia. I rapporti di produzione, distribuzione e consumo sono stati, quindi, rivoluzionati dalle fondamenta proprio grazie alla possibilità che la Rete offre di condividere informazioni, abbattere spazi e creare occasioni di contatti fra persone fisiche e fra imprese.

L’annullamento dello spazio fisico ha dato luogo ai fenomeni, in contraddizione solo apparente, di disintermediazione e di intermediazione online e ha permesso la concentrazione di un potere economico prima inimmaginabile nelle mani di pochissimi cybermediary che gestiscono piattaforme online il cui utilizzo è diventato fondamentale nelle nostre vite.

Il potere economico di cui dispongono i cybermediary, lungi dal rappresentare sempre un’opportunità per i destinatari dei servizi, può essere utilizzato abusivamente in danno agli utenti commerciali e con effetti non necessariamente benefici per i consumatori. In questo quadro di sviluppo tecnologico ed economico è entrato in crisi il ruolo tradizionale dei cybermediary: prima fornitori passivi di un servizio tecnico, ora più che mai si trovano ad avere un ruolo attivo nella gestione dei contenuti caricati e condivisi dai propri utenti.

Il cybermediary, oltre ad avere un enorme potere economico, diventa anche giudice ultimo e supremo all’interno dei servizi che gestisce e le sue decisioni incidono significativamente sulle sfere personali e professionali degli utenti che si servono dei suoi servizi.

Inoltre, la Rete ha riequilibrato il rapporto a favore del consumatore, accordandogli un potere prima inimmaginabile: condividere feedback, recensioni, valutazioni in merito alle proprie esperienze di consumo.

Come la spezia ha mutato nel fisico e nella psiche i navigatori, i servizi basati sulla Rete hanno mutato profondamente la figura stessa del consumatore che non è più un mero acquirente passivo di beni o servizi.

Si è assistito, in questo quadro complesso, alla nascita della nuova figura del prosumer digitale, che è una persona fisica sempre più informata che acquista in rete beni e servizi e che condivide, tramite i servizi della società dell’informazione, le proprie esperienze di consumo, incidendo in maniera sostanziale sull’asimmetria informativa. Lo scambio di informazioni sul Web 2.0, infatti, opera sulla base di dinamiche che si fondano su una partecipazione attiva non solo dei fornitori di servizi della società dell’informazione o degli operatori economici, ma anche dei consumatori stessi.

Si aggiunga, peraltro, che di fronte alla velocità attraverso la quale le informazioni circolano in rete il rimedio giudiziale ha perso di centralità, essendo i formalismi del processo civile e della tutela giudiziale incompatibili con la necessità di tutela e presidio immediata dell’imprenditore in rete.

Molte vertenze sono, pertanto, affidate a strumenti di Alternative Dispute Resolution che presentano vantaggi in termini di costi ed efficienza rispetto al tradizionale rimedio giudiziale o vengono gestite con sistemi che il cybermediary ha creato e plasmato. Nonostante l’introduzione del Regolamento Platform2Business, la tutela apprestata dal Regolamento (UE) 2019/1150 risulta molto più formale rispetto al quadro dettato, ad esempio, in tema di tutela e protezione del consumato-re (2) o della persona fisica nell’ambito dei trattamenti di dati personali che la riguardano, avente un’ampia, corposa e sostanziale tutela all’interno del General Data Protection Regulation (3).

Pertanto, il nuovo impianto normativo risulta indicativo della persistente scarsa sensibilità delle Istituzioni europee alle esigenze di tutela delle imprese che si trovano in posizione di dipendenza economica verso i cybermediary.

Nel nostro universo come in quello di Dune, il potere non è quindi distribuito in ugual misura e, sebbene a differenza della spezia la Rete sia accessibile agevolmente, la distribuzione del potere attraverso i servizi online ha creato un vero e proprio feudalesimo digitale.

La rete allunga il corso della vita.

La rete aumenta la conoscenza.

La rete è essenziale per annullare lo spazio.

I potenti cybermediary e i loro navigatori, che la rete ha trasformato nel corso di poche decadi, usano i servizi basati sulla rete che conferiscono loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè, di viaggiare in qualsiasi parte dell’universo senza mai muoversi.

La rete esiste intorno a noi e siamo noi”.

Giacomo Conti

 

Per informazioni sul testo v. https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-1.html

 

(1) Si riporta la citazione della Principessa Irulan Corrino, figlia dell’imperatore Padi-shah Shaddam IV e futura sposa del protagonista del romanzo Paul Atreided Muad’Dhib. La citazione è tratta non dal testo, ma dal film di Dune scritto e diretto da David Linch nel 1984 e basato sul celeberrimo romanzo di Frank Herbert del 1965.

(2) V. direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.

(3) Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati).

di Giacomo Conti e Anna Lucia Calò

Il GDPR è, indubbiamente, un pilastro indispensabile sia per la tutela dei nostri diritti e libertà fondamentali sia per la creazione di un mercato unico digitale: nell’era dell’informazione, per costruire la fiducia dei consumatori nel mercato online, è indispensabile garantire che i dati personali circolino liberamente e siano adeguatamente protetti. Pertanto, il GDPR si erge a buon diritto come il primo pilastro del mercato unico digitale e, forse, il più noto e conosciuto ai più.

Al pari del GDPR, il Regolamento (UE) n.1807/18, conosciuto come Free Flow Data Regulation o FFD Regulation, mira a garantire la libera circolazione dei dati diversi dai dati personali all’interno dell’Unione e, allo scopo, detta disposizioni relative agli obblighi di localizzazione, alla messa a disposizione dei dati alle autorità competenti e alla portabilità dei dati non personali per gli utenti professionali.

La norma che si pone come imprescindibile completamento del GDPR trova, pertanto, il suo naturale campo di applicazione nell’ambito dei più disparati servizi che vengono erogati online: dall’archiviazione, Infrastructure-as-a-Service – IaaS, al trattamento di dati su piattaforme, Platform-as-a-Service – PaaS, o in applicazioni, Software-as-a-Service – SaaS (Cons. 17 Reg. 2018/1807).  Al pari del GDPR, il Free Flow Data Regulation, si pone come ulteriore pilastro del mercato unico digitale.

Il combinato disposto dei due regolamenti, per quanto indispensabile e imprescindibile, non è sufficiente a completare la realizzazione del mercato unico digitale e, soprattutto, a contrastare adeguatamente le nuove forme di discriminazione geografiche che si declinano in un mercato digitalizzato: un imprenditore che opera in ambito digitale può, infatti, arrivare a discriminare i clienti sulla base della provenienza geografica, localizzandone ad esempio l’indirizzo IP, oppure arrivare a reindirizzarli, in via automatica, a una distinta e diversa interfaccia rispetto a quella iniziale, che ovviamente presenta delle offerte diverse.

Questa prassi prende il nome di geoblocking: neologismo basato su una crasi del termine gèo di origine greca, che significa terra, globo o superficie terrestre e dell’inglese blocking, dal verbo inglese to block, che vuol dire bloccare, impedire o ostruire.

Nell’era digitale, una parte sempre crescente di attività economiche avviene online all’interno dei servizi che il Web offre e che tutti noi conosciamo e usiamo quotidianamente. Pertanto, il Mercato Unico inteso come spazio economico e geografico aperto e senza frontiere interne, grazie al quale merci, persone, servizi e capitali possono circolare liberamente va riconsiderato nella sua dimensione concettuale e declinazione digitale.

Le barriere digitali poste da molti fornitori di servizi dell’informazione nell’era dell’informazione appaiono altrettanto e forse anche più lesive delle barriere fisiche che gli Stati possono ergere contro la concorrenza straniera erigendo muri e ponendo frontiere.

In questo contesto, di profonda e continua evoluzione sociale e tecnologica, interviene il Regolamento (UE) 2018/302, noto come Geoblocking Regulation, che pone un divieto di discriminazione ingiustificata dei clienti nel commercio online sulla base della provenienza geografic: pietra miliare di questo regolamento è l’introduzione del divieto dei blocchi geografici ingiustificati nell’ambito dell’erogazione di servizi basti sulla Rete.

Il considerando 1 del Geoblocking Regulation evidenzia come, per conseguire il pieno potenziale del mercato interno come spazio l’eliminazione degli ostacoli fisici e materiali non è sufficiente se, nella sostanza, vengono frapposte barriere digitali che ostacolano lo sviluppo del mercato interno.

L’e-commerce transazionale, pur essendo una colonna portante del Mercato Unico, presenta gravi rischi per la tenuta del mercato stesso e, uno dei principali, è rappresentato proprio dai geoblocking. Attraverso questa attività, gli imprenditori possono arrivare a segmentare artificialmente il mercato interno, ostacolando la libera circolazione delle merci e dei servizi, limitando i diritti dei clienti e impedendo loro di beneficiare di una scelta più ampia e di condizioni ottimali.

Il GeoBlocking Regulation, per contrastare questo fenomeno, disciplina compiutamente i seguenti aspetti alla base delle transazioni online:
• accesso alle interfacce online;
• accesso a beni o servizi;
• non discriminazione per motivi legati al pagamento;
• accordi sulle vendite passive;
• assistenza ai consumatori.

Pertanto, chiunque, attivi o gestisca un servizio di e-commerce, non deve rispettare solo il GDPR, ma deve anche garantire il rispetto del GeoBlocking Regulation che, nella sua essenzialità – 11 articoli e 43 considerando – detta una disciplina complessa e articolata.

di Anna Lucia Calò

Information Society, Personal Data e Cookie o identificativi di altro tipo

Il rapporto tra Cookie Law e General Data Protection Regulation in attesa del Regolamento e-Privacy

La crescita della Information Society è contraddistinta dall’emergere di nuovi servizi di comunicazione elettronica, e i beni di primaria importanza, nella moderna società dell’informazione, sono i dati personali, ovverosia, qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»).
Identificabile è la persona fisica che, può essere individuata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un “identificativo online” o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.

Le persone fisiche – come evidenziato nel considerando 30 del GDPR – possono essere associate a identificativi online prodotti dai dispositivi, dalle applicazioni, dagli strumenti e dai protocolli utilizzati, quali gli indirizzi IP, a marcatori temporanei (cookie) o a identificativi di altro tipo.
Questi identificativi possono lasciare tracce che, in particolare se combinate con identificativi univoci e altre informazioni ricevute dai server, possono essere impiegate per realizzare profili delle persone fisiche e identificarle.

I c.d. cookie, nati come dispositivi semplificativi e agevolativi della navigazione online, sono usati per differenti e molteplici finalità e, nel linguaggio normativo, sovente, sono definiti “marcatori”.
I cookie – come spiega il Garante per la Protezione dei Dati Personali, nel provvedimento
n. 229 dell´8 maggio 2014 – sono stringhe di testo di piccole dimensioni che i siti visitati dall’utente inviano al suo terminale (solitamente al browser), dove vengono memorizzati per essere poi ritrasmessi agli stessi siti alla successiva visita del medesimo utente. Nel corso della navigazione su un sito, l’utente può ricevere sul suo terminale anche cookie che vengono inviati da siti o da web server diversi (c.d. “terze parti”), sui quali possono risiedere alcuni elementi (quali, ad esempio, immagini, mappe, suoni, specifici link a pagine di altri domini) presenti sul sito che lo stesso sta visitando”.

L’impiego dei cookie è regolamentato dalla Direttiva europea n.58/2002 – nota come Cookie Law o Direttiva e-Privacy – relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.
Comprendere i motivi soggiacenti il varo di questa direttiva – contenente specifiche e precise guidelines nell’ambito del trattamento dei dati personali con i c.d. mezzi elettronici – non è difficile, e comunque, emergono, distintamente, solo anatomizzando il considerando 5, in cui il legislatore europeo, pone in evidenza che: “nelle reti pubbliche di comunicazione, l’introduzione di nuove tecnologie digitali avanzate pongono esigenze specifiche con riguardo alla tutela dei dati personali e della vita privata degli utenti.”
Non solo, nel medesimo considerando, è specificato molto chiaramente che: “l’accesso alle reti digitali mobili è ormai a disposizione e alla portata di un vasto pubblico. Queste reti digitali hanno grandi capacità e possibilità di trattare i dati personali.”
E, in ultimo, indica che: “il positivo sviluppo transfrontaliero di questi servizi dipende in parte dalla fiducia che essi riscuoteranno presso gli utenti in relazione alla loro capacità di tutelare la loro vita privata
”. I servizi di comunicazione elettronica, accessibili al pubblico attraverso Internet, schiudono nuove opportunità agli utenti ma, implicano anche nuovi rischi per i loro dati personali e la loro vita privata, come puntualizzato nel successivo considerando 6 della direttiva n.58/02.

A distanza di anni dall’adozione della Cookie Law, nel 2016 è entrato in vigore un General Data Protection Regulation (n.679/16), notoriamente celebre con l’acronimo GDPR, che ha rinnovato e riformulato, totalmente, la normativa in materia di data protection. Quindi, allo stato attuale, come si pone, la direttiva e-privacy rispetto al GDPR?

Dunque, per il momento, è la Direttiva e-Privacy 2002/58/CE – modificata nel 2009 dalla Direttiva 136/CE – a regolamentare e disciplinare l’uso dei cookie e il consenso al loro utilizzo, e questo sia prima del GDPR sia dopo la sua piena attuazione – 25/5/18 – e fino al momento in cui non sarà adottato il nuovo Regolamento e-Privacy che, sostituirà l’attuale direttiva che, non è stata assolutamente abrogata o modificata dal GDPR.
Non a caso, l’art. 95 del GDPR (Rapporto con la direttiva 2002/58/CE) precisa che, il GDPR non impone obblighi supplementari alle persone fisiche o giuridiche in relazione al trattamento nel quadro della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico su reti pubbliche di comunicazione nell’Unione, per quanto riguarda le materie per le quali sono soggette a obblighi specifici aventi lo stesso obiettivo fissati dalla direttiva 2002/58/CE.
La Cookie Law, precisa ed integra il GDPR, al fine di tutelare la vita privata e la riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle comunicazioni elettroniche, dato che, le strumentazioni terminali degli utenti di reti di comunicazione elettronica e ogni informazione memorizzata in tali apparecchiature, fanno parte della sfera privata dell’utente.

Gli obblighi della normativa europea in materia cookie sono stati recepiti in Italia, con il d.lgs.69/12, che ha riformulato l’art. 122 (Informazioni raccolte nei riguardi dell’contraente o dell’utente) del d.lgs. 196/2003, e, l’unica modifica apportata all’art.122, con il d.lgs.101/18, consiste nella soppressione del riferimento “all’articolo 13, comma 3 del d.lgs.196/03″.
Per la corretta regolamentazione di tali dispositivi, è necessario distinguerli sulla base delle finalità perseguite da chi li utilizza e, in tale direzione si è mosso il legislatore italiano, che, ha ricondotto l’obbligo di acquisire, il consenso preventivo e informato degli utenti on-line, all’installazione di cookie utilizzati per finalità diverse da quelle “meramente tecniche”.

Al riguardo – come indica il Garante nel provv.
n. 229/14 – si individuano due macro-categorie: cookie tecnici e cookie di profilazione. In breve, per l’installazione dei cookie tecnici, non è richiesto il consenso degli utenti ma è necessario fornire l’informativa ex art. 13 del GDPR, mentre, i c.d. cookie di profilazione, possono essere installati sul terminale dell’utente, esclusivamente se questo abbia manifestato il proprio consenso, dopo essere stato informato con le c.d. modalità semplificate, indicate dal Garante nel medesimo provvedimento, relativo, infatti, all’individuazione delle modalità semplificate per l´informativa e l´acquisizione del consenso per l´uso dei cookie.

Nello specifico, l’art.122, comma 1, del d.lgs.196/03, dispone che, l’archiviazione delle informazioni nell’apparecchio terminale di un contraente o di un utente o l’accesso a informazioni già archiviate (cookie di profilazione) sono consentiti – unicamente – a condizione che il contraente o l’utente abbia espresso il proprio consenso* dopo essere stato informato con modalità semplificate e, ai fini dell’espressione del consenso ex art.122, possono essere utilizzate specifiche configurazioni di programmi informatici o di dispositivi che siano di facile e chiara utilizzabilità per il contraente o l’utente.
Gli obblighi di informativa e consenso per l´uso dei cookie, incombono sul titolare del sito web che installa i cookie di profilazione, mentre, per i c.d. cookie di terze parti – installati tramite il sito – gli obblighi di informativa e consenso, gravano sulle terze parti, ma il titolare del sito – intermediario tecnico tra le terze parti e gli utenti – è tenuto a inserire nell´informativa “estesa” i link aggiornati alle informative e ai moduli di consenso delle terze parti stesse, come indica e specifica il Garante nel provvedimento n. 229 dell´8 maggio 2014.

Ciò – continua l’art.122, comma 1 del d.lgs.196/03 – non vieta l’eventuale archiviazione tecnica o l’accesso alle informazioni già archiviate se finalizzati unicamente ad effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica, o nella misura strettamente necessaria al fornitore di un servizio della società dell’informazione esplicitamente richiesto dal contraente o dall’utente a erogare tale servizio (cookie tecnici).
A questo riguardo, è opportuno precisare che, le disposizioni dettate in tema di informativa e consenso per i cookie tecnici, valgono anche per i c.d. cookie analytics, solo nelle ipotesi in cui, questi ultimi sono impiegati a “fini di ottimizzazione del sito direttamente dal titolare del sito stesso, che potrà raccogliere informazioni in forma aggregata sul numero degli utenti e su come questi visitano il sito” (cfr. prov.n.229/14 del Garante).
Salvo quanto previsto dal comma 1 dell’art.122, con riferimento ai cookie tecnici e di profilazione, è – comunque – vietato l’uso di una rete di comunicazione elettronica per accedere a informazioni archiviate nell’apparecchio terminale di un contraente o di un utente, per archiviare informazioni o per monitorare le operazioni dell’utente.

L’art. 122 del d.lgs. 196/2003, trova applicazione per tutti i siti web che installano cookie sui terminali degli utenti, utilizzando per il trattamento, strumenti siti sul territorio dello Stato, a prescindere dalla presenza di una sede nel territorio.
Le violazioni delle disposizioni di cui all’art.122, sono soggette alla sanzione amministrativa di cui all’articolo 83, paragrafo 5, del GDPR, come previsto dall’art. 166 – Criteri di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie e procedimento per l’adozione dei provvedimenti correttivi e sanzionatori – del Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE) n. 2016/679.

Come noto, l’applicazione della Direttiva UE n.58/02 – relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – negli Stati UE non è unitaria, tuttavia, la Cookie Law o Direttiva e-Privacy, come anticipato, è destinata ad essere sostituita dal Regolamento e-Privacy, attualmente ancora in fase di esame, che, a differenza della direttiva, non necessiterà di un provvedimento di recepimento interno da parte di ogni singolo Stato UE, ma esattamente come la direttiva che andrà a sostituire, opererà di concerto con il GDPR, e, rientra nel novero delle misure dirette alla realizzazione del “Digital Single Market”, poiché mira ad assicurare la funzionalità e la sicurezza dei servizi digitali, quindi, una migliore protezione della sfera privata e anche nuove opportunità economiche.

*Per chi volesse esaminare in modo approfondito la tematica relativa alla dichiarazione di consenso con riferimento ai cookie, mi riporto al testo della Sentenza della Corte – Grande Sezione – del 1° ottobre 2019 (Bundesverband der Verbraucherzentralen und Verbraucherverbände – Verbraucherzentrale Bundesverband eV contro Planet49 GmbH.
Rinvio pregiudiziale – Direttiva 95/46/CE – Direttiva 2002/58/CE – Regolamento (UE) 2016/679 – Trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche – Cookie – Nozione di consenso dell’interessato – Dichiarazione di consenso mediante una casella di spunta preselezionata. Causa C-673/17) reperibile al seguente url: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:62017CJ0673.