BREVE DESCRIZIONE DEL CONVEGNO

Convegno di studi avente ad oggetto: “L’informatica e il diritto dei contratti: Blockchain e Smart Contracts”

Data: Martedì 21 giugno 2023 – ore 14.30 – 18.30

Luogo del convegno: Sala Crociera di Giurisprudenza presso Università degli Studi di Milano in Via Festa del Perdono n. 7

RELATORI E INTERVENTI

15.00 – Introducono e coordinano
Prof. Lucio Camaldo – Presidente Algiusmi – Università degli Studi di Milano
Dott. Stefano Gazzella – Coordinatore Comitato scientifico AssoInfluencer
15.30 – Professione Influencer
Arianna Chieli, Creator Digitale e Content Strategist
16.00 – Il diritto dell’influencer: work in progress?
Prof. Pierluigi Perri, Docente di Informatica giuridica, Università degli Studi di Milano
16.30 – La tutela legale dei contenuti digitali
Prof.ssa Silvia Giudici, Docente di Diritto industriale, Università degli Studi di Milano
17.00 – Profili giuslavoristici dei creator
Avv. Paolo Iervolino, Vicecoordinatore Comitato scientifico AssoInfluencer, Assegnista di ricerca presso l’Università di Palermo
17.30 – Le nuove professioni digitali e non ordinistiche
Avv. Massimo Burghignoli, Past President Algiusmi
18.00 – I rapporti tra Piattaforma e Creator
Avv. Giacomo Conti, Socio Algiusmi e Patreon AssoInfluencer
18.30 – Interventi e dibattito

17.30 – Interventi programmati e dibattito

18.30 – Chiusura dell’incontro

BREVE DESCRIZIONE DELL’INTERVENTO DELL’AVV. GIACOMO CONTI

Il convengo si propone di esaminare i rapporti economici e giuridici nell’ambito dell’ecosistema delle piattaforme digitali.
Dopo avere fatto luce su cosa si intenda per Influencer e messo in luce i profili di professionalità dei creatori di contenuti, si affronteranno i profili relativi alla tutela dei contenuti digitali e giuslavoristici.

Per meglio comprendere la portata di questa nuova figura professionale, verranno esaminati i profili relativi alle nuove professioni digitali e non ordinistiche nonché i rapporti Platform2Business, con particolare riguardo ai rapporti fra creatore di contenuti e piattaforma.

L’intervento dell’avvocato Conti pone dapprima il focus sull’ecosistema di rapporti giuridici che le piattaforme digitali creano per mettere al centro la figura del creatore dei contenuti e dell’influencer, analizzando i rapporti fra queste importanti figure centrali nell’ambito dell’economia del web 2.0.
Successivamente, dopo averne analizzato i tratti distintivi della figura dell’influencer, si analizza come l’influencer sia al centro di una serie complessi di rapporti, ad esempio con la propria fanbase, con i propri sponsor ma anche con la piattaforma online.
Nonostante la centralità di questa figura, l’influencer può essere oggetto di comportamenti di abuso da parte delle grandi piattaforme digitali che, attraverso i propri poteri, possono penalizzarne fortemente l’attività, ad esempio demonitizzandone o rimuovendone i contenuti o bloccandone il canale. Ma anche con comportamenti più subdoli, come collocarlo ingiustificatamente in fondo ai risultati di ricerca facendogli perdere importanti visualizzazioni e, per l’effetto, occasioni di crescita e sviluppo professionale.
Pertanto, vengono analizzati i profili di tutela che l’ordinamento civilistico offre a questa figura partendo dai rimedi in house alla piattaforma per poi approfondire i profili di tutela giudiziale.

Il convegno nasce da una sinergia fra Algiusmi, Associazione dei Laureati di Giurisprudenza dell’Università di Milano, ed AssoInfluencer, associazione rappresentativa dei creatori di contenuti a livello nazionale

Scarica la locandina del convegno cliccando alla seguente risorsa: SAlgiusmi_AssoInfluencer 21-06-2023

Scarica le slide dell’intervento dell’Avv. Giacomo Conti: Rapporti Piattaforma2Influencer Conti

Per maggiori approfondimenti sul tema:

https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-1.html

https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-2.html

La sentenza 322/2023 del Tribunale di Milano rappresenta una pietra miliare in tema di responsabilità degli istituti di credito in materia di responsabilità da trattamento illecito di dati personali e per mancata prevenzione del rischio frodi e perdite finanziarie.

Le materie, infatti, presentano importanti punti di contatto e interferenza in quanto il considerando 75 al GDPR prevede espressamente le perdite finanziarie come uno dei rischi tipici derivanti da una violazione del GDPR.

La direttiva PSD2 impone a banche e istituti di credito stabilisce di adottare specifiche misure di protezione e sicurezza dei correntisti la cui efficace e corretta applicazione deve essere dimostrata secondo quanto richiede il principio di accountability.

La Corte Meneghina, nel caso in esame, ha tracciato un chiaro quadro giuridico in tema di responsabilità derivante da mancata gestione del rischio derivante dal trattamento di dati personali intervenendo chiaramente sui criteri di ripartizione dell’onere della prova.

Il Tribunale, applicando correttamente il principio di accountability, ha stabilito che grava in capo a questi l’onere di dimostrare di avere adottato adeguate misure di protezione della clientela per prevenire il rischio frodi e perdite finanziarie.

La pronuncia in esame dà atto di come la giurisprudenza di legittimità abbia già precedentemente inquadrato la responsabilità dell’istituto di credito nell’ambito della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. La Corte ha richiamato i precedenti in tema di disposizioni non autorizzate dal cliente su conto corrente mediante accesso abusivo a sistema di internet banking e conseguenti riflessi applicativi nell’ambito della responsabilità per trattamento dei dati personali (cfr. Cassazione, sez. I, 23 maggio 2016 n. 10638).

Secondo l’art. 15 del d.lgs. 196/2003 (Codice Privacy), citato dal Tribunale: “chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile”, l’istituto di credito deve fornire la prova liberatoria dalla propria responsabilità dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Da valutarsi secondo le conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, alla natura dei dati, alle caratteristiche specifiche del trattamento, mediante adozione di misure idonee e preventive per impedire l’accesso o il trattamento non autorizzato ai sensi dell’art. 31 e 36 del d.lgs. 196/2003.

Applicando in combinato disposto l’art 2050 c.c. e l’art. 15 del codice della privacy, l’istituto che svolge un’attività di tipo finanziario o in generale creditizio (…) risponde, quale titolare del trattamento di dati personali, dei danni conseguenti al fatto di non aver impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico del cliente mediante la captazione dei suoi codici di accesso e le conseguenti illegittime disposizioni di bonifico. La responsabilità è esclusa solo se il titolare prova che l’evento dannoso non gli è imputabile perché discendente da trascuratezza, errore (o frode) dell’interessato o da forza maggiore.

La Cassazione ha, quindi, rilevato che ad analoga conclusione si perviene applicando le disposizioni del d.lgs. 11/2010 di attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno. L’art. 10 del d.lgs. 11/2010 pone in capo al prestatore dei servizi di pagamento l’onere di dimostrare, in caso di disconoscimento di una operazione l’onere di dimostrare che l’operazione non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione ovvero altri inconvenienti connessi al servizio in caso di disposizione di ordini di pagamento in caso di disconoscimento dell’operazione da parte del cliente.

Richiamando la Cassazione, il Tribunale di Milano argomenta che “in punto di ripartizione delle responsabilità derivanti dall’utilizzazione del servizio, il citato D.Lgs., artt. 10 e 11, prevede che, qualora l’utente neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già effettuata, l’onere di provare la genuinità della transazione ricade essenzialmente sul prestatore del servizio. E nel contempo obbliga quest’ultimo a rifondere con sostanziale immediatezza il correntista in caso di operazione disconosciuta, tranne ove vi sia un motivato sospetto di frode, e salva naturalmente la possibilità per il prestatore di servizi di pagamento di dimostrare anche in un momento successivo che l’operazione di pagamento era stata autorizzata, con consequenziale diritto di chiedere e ottenere, in tal caso, dall’utilizzatore, la restituzione dell’importo rimborsato”.

Per l’effetto, il Tribunale ha ritenuto che tale onere non può venire assolto senza la dimostrazione dell’adozione di specifiche cautele antiphishing “idonee ad evitare l’acquisizione fraudolenta delle chiavi di accesso al sistema da parte di terzi” (così Cass., Sez. I, 29.12.2017 n. 31199).

L’istituto di credito convenuto, nel caso in esame, non ha dimostrato e nemmeno specificamente allegato, secondo il Tribunale, quali cautele avrebbe adottato sia in generale per contrastare il fenomeno del phishing sia nello specifico per evitare il prodursi del danno patito dagli attori, con riguardo a ciascuno dei tre bonifici istantanei eseguiti senza l’autorizzazione degli attori.

Il Tribunale non ha, pertanto, ritenuto assolto l’onere della prova gravante sull’istituto di credito ai sensi dell’art. 1218 c.c. e la conseguente non imputabilità del danno.

Secondo la Corte meneghina, gli istituti di credito devono adottare in relazione a tali operazioni delle cautele e verifiche ulteriori rispetto a quelle predisposte per i bonifici standard, cautele e verifiche che devono essere preliminari all’esecuzione della disposizione, per evitare che la disposizione impartita da terzi non autorizzati provochi effetti irreversibili sul patrimonio del pagatore, cautele che, nel caso di specie la convenuta ha completamente pretermesso, non avendo compiuto alcuna specifica attività in tal senso.

Importantissimo è il principio affermato dalla Corte Territoriale secondo cui l’automatizzazione dei controlli bancari consentita dal progresso scientifico e tecnologico non può comportare una regressione del livello di tutela che deve essere garantito al singolo risparmiatore.

Tale soluzione, imposta dalla disciplina di cui agli artt. 10 ss. del d.lgs. 11/2010, appare del tutto coerente anche dal un punto di vista dell’analisi economica del diritto privato. Pertanto laddove gli istituti di credito omettano di adottare sistemi di controllo per evitare il perpetrarsi di frodi ai danni dei propri clienti dovranno risarcire il danno subito dai propri clienti derivante da questo inadempimento.

Infine, il Tribunale di Milano ha argomentato come l’istituto di credito convenuto non ha nemmeno documentato o altrimenti provato di essersi effettivamente attivata per ottenere dal prestatore del servizio di pagamento del beneficiario dell’operazione, il consenso alla revoca dell’operazione ai sensi dell’art. 17.5 d.lgs. 28/2010, e risulta, anzi, dimostrato dall’attrice che solo la denuncia all’autorità di polizia giudiziaria abbia consentito di recuperare, benché parzialmente, le somme oggetto delle disposizioni disconosciute.

 

In allegato, per maggiori approfondimenti, il testo integrale del provvedimento Sentenza n. 322-2023 BLIND

di Giacomo Conti

Nell’era del Web 2.0 è più che mai attuale la massima secondo la quale: “Se non paghi un prodotto, allora il prodotto sei tu”.

Tutti noi utilizziamo i servizi della società dell’informazione quali, ad esempio, Google, Facebook, Amazon, Netflix. Giganti tecnologici come Apple sviluppano, inoltre, le proprie piattaforme commerciali App Store, iTunes Store e Apple Books.

Mentre alcuni servizi prevedono un sistema di fruizione attraverso il pagamento di un canone, altri servizi operano in maniera più subdola e, dietro un’apparente gratuità, chiedono in realtà come corrispettivo i nostri dati personali che vengono forniti da consumatori, molto spesso, inconsapevoli.

I dati dei consumatori vengono, infatti, monetizzati e ceduti a terzi oppure utilizzati direttamente dal fornitore del servizio attraverso un’attività promozionale per aumentare la vendita dei propri prodotti e/o di quelli di terzi. Questo, a prescindere dal fatto che si paghi o meno per il servizio.

Dopo avere tracciato un quadro generale sulla complessa relazione fra piattaforme online, consumatori (Platform2Consumer) e utenti commerciali (Platoform2Business) e dopo avere il modello economico di queste piattaforme, l’intervento ha lo scopo di mettere in relazione i profili di interferenza fra protezione fra il diritto alla protezione del dato la protezione del consumatore.

Nella seconda parte verranno poi approfondite i procedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti di Google Ireland Ltd. e di Apple Distribution International Ltd dove entrambe le piattaforme sono state sanzionate per 10 milioni di euro ossia per il massimo edittale secondo la normativa vigente.  L’Antitrust ha, infatti, accertato per ogni società due violazioni del Codice del Consumo, una per carenze informative e un’altra per pratiche aggressive legate all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori a fini commerciali.

 

 

 

Per il testo integrale dei provvedimenti dell’AGCM:  v. https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2021/11/PS11147-PS11150Platform2bus

 

In allegato le slide dell’intervento al convegno e-privacy XXXI – ««Privacy tra attivismo e scienza» – prima giornata – pomeriggio

220929 SLIDE CONTI EPRIVACY

con l’Avv. Andrea Lisi, l’Avv. Giacomo Conti e il Dott. Alessandro Bottonelli

Lo ho-BIT ‖ Ep.16

Sospesi tra due realtà: il web non è più “altro” rispetto alla nostra realtà fisica. Al suo interno coesistono nuovi spazi “essenziali” per la società, quali servizi, piattaforme, app e strumenti di lavoro a distanza.

L’evoluzione tecnologica non riguarda più solo i modelli di business: l’enorme potere dei grandi player influenza anche le dinamiche individuali e il quadro dei rapporti sociali.

L’Avv. Andrea Lisi affronterà con l’Avv. Giacomo Conti, specializzato in nuove tecnologie e web reputation, e Alessandro Bottonelli, CEO & Lead Advisor di AxisNet, l’importanza di conoscere i meccanismi e imparare a utilizzare in modo consapevole il web “partecipativo”, anche per evitare di divenire a nostra volta oggetto di “utilizzo” da parte delle stesse piattaforme o di chi le gestisce.

 

Link al contenuto video: 🟣 Quanto apparteniamo alla rete? 🟣 Lo ho-BIT – Andrea Lisi – MRTV – YouTube

 

Autore: Giacomo Conti

Editore: Maggioli Editore

Pubblicazione: Novembre 2020 (I Edizione)

ISBN / EAN 8891643469 / 9788891643469

Collana: Collana Legale

 

Prefazione:  “La libertà è partecipazione” e l’inestrinsecabile legame fra corpo elettronico e materiale

 

I sogni di libertà ed emancipazione che si fondavano su un’idea di progresso tecnologico che avrebbe reso tutti liberi appartengono a un’epoca passata.

I sogni di idillio e trascendenza tecnologica, secondo cui la tecnologia ci avrebbe liberati dalle fatiche umane permettendoci di elevarci e trascendere e liberarci dalla nostra gabbia materiale per avvicinarci a un altro reame dell’esistenza, appartengono a società utopistiche ben lontane dalla nostra.

Queste sono e restano sulla carta, o in formato e-book, descritte in romanzi di fantascienza.

Permane, però, il legittimo interrogativo relativo alla libertà reale che gli strumenti del Web partecipativo 2.0 ci offrono e il quesito si pone, in ogni caso, immutato nei seguenti termini: “Internet, il Web e le tecnologie della società dell’informazione hanno migliorato la nostra esistenza rendendoci più liberi?”.

In un certo senso, si può e si deve dare una risposta affermativa alla questione, in quanto le tecnologie di Rete ci hanno liberato da fatiche non solo fisiche ma anche intellettuali. Le tecnologie basate sulla Rete ci hanno, infatti, sicuramente resi più informati, talvolta istruiti, e hanno semplificato le nostre attività di ricerca e approfondimento intellettuale contribuendo a soddisfare le nostre più svariate curiosità.

È, pertanto, innegabile che le dinamiche del Web partecipativo abbiano  migliorato qualitativamente le nostre vite ed esperienze di consumo grazie alle numerose informazioni e opportunità che i servizi di Rete ci offrono. Senza contare, peraltro, la comodità di consumare senza doversi recare fisicamente al negozio fisico.

Rimane aperta, però, la seconda parte del quesito, ossia se le tecnologie di Rete ci abbiano o meno resi più liberi rispetto al passato.

In teoria, le dinamiche partecipative dei servizi della società dell’informazione avrebbero dovuto renderci ancora più liberi, più in grado di comprendere il mondo che ci circonda, grazie al patrimonio informativo che continuamente ci regalano, prima inimmaginabile anche per il più dotto dei dotti.

Del resto, se è vero, per citare Gaber, che “La libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione”, ci dobbiamo chiedere dove sia la nostra agognata libertà. ci troviamo, infatti, in una società dove la partecipazione è assoluta e i nuovi strumenti di comunicazione ci permettono di condividere con una libertà prima impensabile il nostro pensiero e reperire una mole inimmaginabile di informazioni con pochissimo sforzo.

Dov’è, quindi, che le promesse di libertà ed emancipazione sono state tradite?

A dispetto degli innegabili progressi che la rivoluzione del Web partecipativo ha apportato non si può, infatti, dire che si sia creata una maggiore libertà.

Al contrario, tutti noi, volenti o nolenti, ci troviamo sempre più integrati nei servizi della società dell’informazione e nelle dinamiche partecipative del Web 2.0 e non ne riusciamo più a fare a meno.

Molti di coloro che hanno vissuto e sperimentato la rivoluzione del Web hanno ottime ragioni per sentire, in realtà, traditi i loro sogni di libertà. Siamo sempre più impegnati a relazionarci attraverso social network da cui non ci riusciamo a sconnettere, a ricercare novità e informazioni attraverso motori di ricerca e a comperare online beni e servizi di cui prima non conoscevamo l’esistenza e che, adesso, sono diventati inspiegabilmente indispensabili e imprescindibili.

La connettività, nei suoi aspetti relazionali e partecipativi, riguarda tutti gli aspetti della nostra vita nelle sue dinamiche personali e professionali e tutti ci troviamo forzosamente connessi senza alcuna reale via di scampo.

Può essere che il prezzo del maggiore benessere di cui attualmente godiamo abbia richiesto il sacrificio della nostra libertà?

Da un lato, quasi tutte le persone fisiche si trovano ad avere un profilo social network, ad esempio su Facebook, LinkedIn, Twitter o altri social network; e, dall’altro, sempre più imprenditori offrono i propri beni e servizi mediante marketplace e altri servizi della società dell’informazione come, ad esempio, TripAdvisor o Amazon.

Sempre più persone, fisiche o giuridiche, inoltre, si trovano indicizzate all’interno di motori di ricerca: inserire un semplice parametro come nome e cognome può, infatti, produrre risultati che a loro volta riconducono a elementi riferiti alla persona ricercata come, ad esempio, un sito o un blog personale, foto personali condivise in Rete, un profilo social network o, ancora, articoli pubblicati, interviste rilasciate o articoli di giornale online dove la persona ha formato oggetto di cronaca e proprio attraverso questa simbiosi con i servizi della società dell’informazione si estrinseca il nostro corpo elettronico: la proiezione digitale all’interno della Rete del nostro corpo materiale.

Tutte queste tracce digitali di noi – che noi stessi in prima persona lasciamo  o che altri lasciano di noi – contribuiscono a consolidare e formare la nostra Web presence (o presenza sul Web), composta dei “pezzi di ciascuno di noi che sono conservati nelle numerosissime banche dati dove la nostra identità è sezionata e scomposta, dove compariamo ora come consumatori, ora come elettori, debitori, lavoratori, utenti dell’autostrada” (1).

Il Web 2.0, con le sue dinamiche partecipative, ha accelerato e amplificato  questo processo di astrazione del nostro corpo materiale in qualcosa di diverso, ibrido e prima inimmaginabile.

Pur senza raggiungere il Regno dei cieli, il nirvana o altri reami dell’esistenza, anzi forse per certi aspetti allontanandoci dagli aspetti più nobili della spiritualità più pura che in tempi passati era posta come una delle più grandi virtù, una parte sempre più significativa della nostra vita si svolge online.

Questo reame dell’esistenza non si trova, però, in un regno diverso o irraggiungibile ed è facilmente accessibile attraverso strumenti che sono banali come un dispositivo che si può connettere a Internet e una connessione Internet.

Il Regno dei cieli è davvero qui fra noi e accessibile a tutti?

È davvero così facile ascendere?

Davvero non è più necessario intraprendere percorsi ascetici o immergersi in attività contemplative o meditative per distanziarsi dalla realtà in cui viviamo per muoverci in un dominio più nobile dell’esistenza?

Ma, soprattutto, l’astrazione del nostro corpo materiale in un corpo elettronico ci nobilita davvero come vorremmo, dovrebbe o sarebbe giusto?

A ben vedere, lungi dal distanziarci dal mondo materiale, dai nostri desideri e dalle nostre paure, quanto avviene online influenza pesantemente le nostre dinamiche relazionali e professionali che si articolano offline.

Così come noi proiettiamo online una parte del corpo materiale, a mo’ di ombra digitale, una parte del nostro corpo elettronico proietta un’ombra materiale che si ripercuote, psicologicamente e materialmente, nel dominio dell’esistenza analogica.

Siamo davvero più liberi oppure siamo aggrovigliati in un miscuglio inscindibile di realtà inestricabili?

In questo contesto di inestricabilità fra corpo materiale e corpo elettronico, reame digitale e reame analogico, si inseriscono i servizi della società dell’informazione che influenzano e governano aspetti preponderanti e cruciali delle nostre vite.

Le dinamiche relazionali alla base del Web partecipativo che ha creato il  Web 2.0 sono, infatti, quasi integralmente miste e si basano su una sempre maggiore e crescente interconnessione fra il nostro corpo elettronico e il nostro corpo materiale. Si crea, pertanto, un’entità ibrida fatta di atomi e di bit, di molecole e di gigabyte.

I nostri desideri, ansie, paure e speranze arrivano a seguirci sia quando ci connettiamo che quando siamo sconnessi; sempre che sconnettersi sia, in realtà, possibile. A ben vedere, gli aspetti più importanti della nostra vita restano sottratti irrimediabilmente al nostro dominio proprio a causa delle  dinamiche che la partecipazione all’interno della vita online ci impone.

È evidente come i servizi della società dell’informazione basati sul Web  governino sempre di più la nostra vita personale e professionale e come non possiamo più fare a meno di questi, anche se spesso vorremmo sconnetterci, isolarci e sottrarci al continuo bombardamento di informazioni cui veniamo sottoposti.

Per questi motivi non siamo più realmente padroni delle nostre vite, ma sono le piattaforme digitali a garantire i nostri diritti fondamentali, a permettere alla nostra persona di esprimersi e a dare voce al nostro corpo elettronico: i nostri desideri finiscono in whishlist di cui i cybermediary diventano custodi, le nostre curiosità e segreti sono inseriti in motori di ricerca che le destrutturano e le indicizzano rendendole uniformi e privandole dell’unicità che noi pensavamo che avessero. Inoltre, la nostra voglia di esprimerci si articola in post condivisi attraverso social network, così come la nostra socialità oramai può prescindere dal bisogno di scendere in piazza e trovare luoghi fisici per socializzare ed esprimere le nostre idee e, di conseguenza, la coesione sociale sembra diventare sempre più tenue.

I servizi della società dell’informazione sono diventati, quindi, indispensabili per molte persone fisiche, che attraverso di essi si esprimono e si relazionano con gli altri, e per molte imprese, che li utilizzano per perseguire la propria attività economica.

Si pensi, in questo senso, all’importanza per una PMI di avere una propria web presence su Amazon o di essere adeguatamente indicizzata su
Google per ottenere un importante vantaggio competitivo sui propri concorrenti.

Alla luce del quadro tracciato si deve dare, quindi, risposta negativa alla nostra esigenza di libertà che appare sicuramente frustrata.

Molti diranno che questa è stata sacrificata sull’altare di qualcosa di più importante, come l’accesso alla conoscenza attraverso ricerche operate online, la possibilità di partecipare e dire la nostra, probabilmente anche quando forse sarebbe opportuno tacere, la possibilità di acquistare quello che vogliamo quando vogliamo e di vedercelo consegnato a casa senza che sia necessario uscire quando quasi certamente due passi e una boccata d’aria fresca non ci farebbero male.

Siamo, quindi, ora più che mai lontani dalla trascendenza cui aspiravano gli antichi, i filosofi e gli illuminati dei tempi passati?

In un certo senso, probabilmente no, in quanto il corpo elettronico, la nostra proiezione digitale, ci ha permesso di raggiungere a tutti gli effetti un reame diverso dell’esistenza, creando la cosa più simile all’anima che questa società materialista riesce a concepire.

Il nostro corpo elettronico vive senza mangiare, bere, dormire e necessita  solo di connessione e di dati. non è questa forse libertà?

Ma questo corpo è davvero nostro?

Possiamo davvero governare le sue  dinamiche che avvengono all’interno della Rete?

A ben vedere, abbiamo un controllo molto limitato sul nostro corpo elettronico, in quanto in Rete tutti sono liberi di dire la loro in una piazza dalla eco infinita che rimbomba nei secoli imperituri e di coinvolgerci in discussioni che non ci riguardano o a cui non siamo interessati.

Gli algoritmi dei motori di ricerca e dei social network a cui siamo iscritti ci bombardano o sottopongono alla nostra attenzione altre persone o prodotti che, forse e molto probabilmente, preferiremmo ignorare.

Non sono forse queste forme di violenza elettronica, tentativi subdoli ma al tempo stesso violenti di coartare la nostra libertà?

L’aggressione al nostro corpo elettronico cesserà solo quando le persone che cercano l’informazione vi perderanno ogni interesse, le Wiki non
verranno più aggiornate o i cybermediary, custodi dell’informazione, arriveranno a rimuoverla per gentile concessione o per un ordine di un’Autorità che, al momento, appare ancora superiore.

In realtà, a ben vedere, ora più che mai siamo prigionieri di una gabbia elettronica, custodita dai vari Amazon, Google e Facebook, che ci comprime e mai come ora siamo stati così poco padroni delle informazioni che ci riguardano. contrariamente a ogni ragionamento logico, siamo più liberi ma al tempo stesso più prigionieri e ora più che mai guardiamo il mondo come i prigionieri della caverna di Platone.

La risposta al paradosso logico secondo cui partendo da premesse vere e false al tempo stesso si producono conclusioni vere e contraddittorie fra loro si può dare nei seguenti termini: il Web partecipativo e i cybermediary hanno ribaltato il rapporto tradizionale della libertà che non è più una “libertà da qualcosa”, come ad esempio ingerenze indebite nella nostra sfera personale, ma una “libertà di fare qualcosa”, come commentare, condividere contenuti, criticare altri, acquistare con semplicità ciò che ci aggrada e vedercelo recapitato comodamente a casa.

In questo contesto, ciò che si pensa di noi offline viene proiettato online e  ciò che ci riguarda online ha precipitati nelle nostre dinamiche professionali e personali che si articolano offline.

Il quadro di interconnessione è, quindi, continuo, complesso e si autoalimenta e impone di rivoluzionare il modo attraverso cui noi pensiamo e ci relazioniamo con i servizi della società dell’informazione.

Queste nuove dinamiche relazionali personali e professionali e la sempre crescente integrazione fra ciò che avviene online e ciò che avviene offline lasciano aperti numerosi interrogativi:

Siamo davvero più liberi e felici?

Siamo davvero più colti, istruiti e consapevoli?

Riusciamo a distinguere ciò che avviene in Rete da ciò che avviene offline?

Siamo davvero in grado di distinguere la nostra ombra digitale dalla nostra ombra materiale che proietta la luce del sole?

Ai posteri l’ardua sentenza”.

Giacomo Conti

 

Per maggiori informazioni sul testo v. https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-2.html

 

(1) Salviamo il corpo, di Stefano Rodotà, stralcio dell’intervento al convegno su “Trasformazioni del corpo e dignità della persona”, Roma, 4 maggio 2005.

Autore: Giacomo Conti

Editore: Maggioli Editore

Pubblicazione: Ottobre 2020 (I Edizione)

ISBN / EAN 8891643452 / 9788891643452

Collana: Collana Legale

 

Prefazione: Il World Wide Web come la spezia di Dune. L’estensione della conoscenza e l’annullamento dello spazio tra realtà e fantascienza. Gilde spaziali e cybermediary.

L’estensione della conoscenza e l’annullamento dello spazio tra realtà e fantascienza. Gilde spaziali e cybermediary.

Siamo nell’Universo di Dune creato da Frank Herbert nel 1965, ambientato nell’Anno Domini 10191: l’universo conosciuto è governato dall’imperatore Padishah Shaddam IV e, per l’umanità, la più preziosa e vitale sostanza dell’u-niverso è il Melange, la spezia.

La spezia allunga il corso della vita.

La spezia aumenta la conoscenza.

La spezia è essenziale per annullare lo spazio.

La potente Gilda spaziale e i suoi navigatori, che la spezia ha trasformato nel corso di oltre 4000 anni, usano il gas arancione della spezia che conferisce loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè, di viaggiare in qualsiasi parte dell’universo senza mai muoversi.

La spezia esiste su un solo pianeta nell’intero universo conosciuto. Un arido e desolato pianeta con vasti deserti.

Il pianeta Arrakis è conosciuto anche come Dune (1).”

Senza troppa speculazione e inventiva e togliendo l’aspetto esotico che caratterizza il celeberrimo romanzo: l’umanità, correva l’anno 1989, inventava quanto più di simile esiste alla spezia, ossia la Rete. Il World Wide Web, per come noi lo conosciamo, è al pari della spezia di Frank Herbert un formidabile strumento che in poche decadi ha rivoluzionato i rapporti economici e sociali, cambiando profondamente la società in cui viviamo.

A differenza della spezia, tuttavia, è estremamente facile accedere al World Wide Web: è, infatti, sufficiente munirsi di un dispositivo collegato alla Rete e di una connessione Internet offerta dagli operatori telefonici a costi sempre più economici.

Lungi dall’esistere su un solo remoto e desolato pianeta, sempre più persone sul globo terrestre hanno accesso a questa formidabile tecnologia da cui sono sempre più dipendenti.

La Rete, al pari del Melange, assuefà chi vi si connette che ne diventa sempre più dipendente, a prescindere dal fatto che la connessione al Web sia operata per esigenze personali oppure legate allo svolgimento di un’attività di impresa.

Nell’Universo di Dune, solamente la Gilda Spaziale detiene il monopolio sul commercio della spezia e anche questo dato si presta a un’analogia con il nostro universo.

Nel nostro universo, gli intermediari digitali, al pari della Gilda Spaziale, hanno un monopolio di fatto sui servizi della società dell’informazione nell’ambito dei quali dispensano benefici, punizioni ed erogano giustizia sulla base di termini e condizioni che loro stessi hanno stabilito. Si pensi a Google per i servizi di motori di ricerca, ad Amazon per l’E-commerce o, ancora, a Microsoft per i sistemi operativi e gestionali per consumatori e imprese.

La Rete ha cancellato precedenti confini e limiti dettati dallo spazio fisico e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza al pari della spezia. I rapporti di produzione, distribuzione e consumo sono stati, quindi, rivoluzionati dalle fondamenta proprio grazie alla possibilità che la Rete offre di condividere informazioni, abbattere spazi e creare occasioni di contatti fra persone fisiche e fra imprese.

L’annullamento dello spazio fisico ha dato luogo ai fenomeni, in contraddizione solo apparente, di disintermediazione e di intermediazione online e ha permesso la concentrazione di un potere economico prima inimmaginabile nelle mani di pochissimi cybermediary che gestiscono piattaforme online il cui utilizzo è diventato fondamentale nelle nostre vite.

Il potere economico di cui dispongono i cybermediary, lungi dal rappresentare sempre un’opportunità per i destinatari dei servizi, può essere utilizzato abusivamente in danno agli utenti commerciali e con effetti non necessariamente benefici per i consumatori. In questo quadro di sviluppo tecnologico ed economico è entrato in crisi il ruolo tradizionale dei cybermediary: prima fornitori passivi di un servizio tecnico, ora più che mai si trovano ad avere un ruolo attivo nella gestione dei contenuti caricati e condivisi dai propri utenti.

Il cybermediary, oltre ad avere un enorme potere economico, diventa anche giudice ultimo e supremo all’interno dei servizi che gestisce e le sue decisioni incidono significativamente sulle sfere personali e professionali degli utenti che si servono dei suoi servizi.

Inoltre, la Rete ha riequilibrato il rapporto a favore del consumatore, accordandogli un potere prima inimmaginabile: condividere feedback, recensioni, valutazioni in merito alle proprie esperienze di consumo.

Come la spezia ha mutato nel fisico e nella psiche i navigatori, i servizi basati sulla Rete hanno mutato profondamente la figura stessa del consumatore che non è più un mero acquirente passivo di beni o servizi.

Si è assistito, in questo quadro complesso, alla nascita della nuova figura del prosumer digitale, che è una persona fisica sempre più informata che acquista in rete beni e servizi e che condivide, tramite i servizi della società dell’informazione, le proprie esperienze di consumo, incidendo in maniera sostanziale sull’asimmetria informativa. Lo scambio di informazioni sul Web 2.0, infatti, opera sulla base di dinamiche che si fondano su una partecipazione attiva non solo dei fornitori di servizi della società dell’informazione o degli operatori economici, ma anche dei consumatori stessi.

Si aggiunga, peraltro, che di fronte alla velocità attraverso la quale le informazioni circolano in rete il rimedio giudiziale ha perso di centralità, essendo i formalismi del processo civile e della tutela giudiziale incompatibili con la necessità di tutela e presidio immediata dell’imprenditore in rete.

Molte vertenze sono, pertanto, affidate a strumenti di Alternative Dispute Resolution che presentano vantaggi in termini di costi ed efficienza rispetto al tradizionale rimedio giudiziale o vengono gestite con sistemi che il cybermediary ha creato e plasmato. Nonostante l’introduzione del Regolamento Platform2Business, la tutela apprestata dal Regolamento (UE) 2019/1150 risulta molto più formale rispetto al quadro dettato, ad esempio, in tema di tutela e protezione del consumato-re (2) o della persona fisica nell’ambito dei trattamenti di dati personali che la riguardano, avente un’ampia, corposa e sostanziale tutela all’interno del General Data Protection Regulation (3).

Pertanto, il nuovo impianto normativo risulta indicativo della persistente scarsa sensibilità delle Istituzioni europee alle esigenze di tutela delle imprese che si trovano in posizione di dipendenza economica verso i cybermediary.

Nel nostro universo come in quello di Dune, il potere non è quindi distribuito in ugual misura e, sebbene a differenza della spezia la Rete sia accessibile agevolmente, la distribuzione del potere attraverso i servizi online ha creato un vero e proprio feudalesimo digitale.

La rete allunga il corso della vita.

La rete aumenta la conoscenza.

La rete è essenziale per annullare lo spazio.

I potenti cybermediary e i loro navigatori, che la rete ha trasformato nel corso di poche decadi, usano i servizi basati sulla rete che conferiscono loro la capacità di annullare lo spazio, e cioè, di viaggiare in qualsiasi parte dell’universo senza mai muoversi.

La rete esiste intorno a noi e siamo noi”.

Giacomo Conti

 

Per informazioni sul testo v. https://www.maggiolieditore.it/lineamenti-di-diritto-delle-piattaforme-digitali-volume-1.html

 

(1) Si riporta la citazione della Principessa Irulan Corrino, figlia dell’imperatore Padi-shah Shaddam IV e futura sposa del protagonista del romanzo Paul Atreided Muad’Dhib. La citazione è tratta non dal testo, ma dal film di Dune scritto e diretto da David Linch nel 1984 e basato sul celeberrimo romanzo di Frank Herbert del 1965.

(2) V. direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.

(3) Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati).

di Giacomo Conti

 

Per gestire a norma di Legge un servizio di e-commerce è necessario essere trasparenti verso i consumatori ed evitare comportamenti che possono realizzare pratiche commerciali scorrette, ossia idonee a indurre il consumatore “medio” ad operare scelte che commerciali e di consumo che, laddove l’informazione fosse stata completa e trasparente, non avrebbe preso.

I professionisti sono tenuti a mantenere standard di diligenza particolarmente elevati, tali da consentire al consumatore di determinarsi consapevolmente e liberamente in un mercato concorrenziale.

L’omessa indicazione nel prezzo pubblicizzato all’inizio del contatto, di tutti gli oneri non evitabili che sono successivamente addebitati al consumatore è sicuramente una pratica commerciale scorretta.

Ugualmente, integrano pratiche commerciali scorrette l’aver fornito ai consumatori informazioni non veritiere sui tempi di consegna dei prodotti offerti, l’aver consegnato prodotti diversi da quelli ordinati, ovvero giunti a destinazione oltre i tempi pattuiti, l’aver opposto ostacoli all’esercizio di diritti contrattuali da parte dei consumatori come la difficoltà di contattare i fornitori del servizio o la mancata sostituzione del prodotto diverso da quello ordinato, l’avere invitato all’acquisto di prodotti a un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di prevedibili ragioni che avrebbero impedito la consegna degli stessi a quel prezzo.

Ugualmente, la semplice indicazione “composizione tipo”, se non indicata in tutti i suoi elementi e in più accostata ad una illustrazione fotografica che raffigura una composizione completa può essere considerata una pratica commerciale scorrettezza.

Se al consumatore non vengono fornite informazioni puntuali, precise e concrete il consumatore può essere indotto a credere che la composizione tipo si riferisca all’immagine in foto ed essere, conseguentemente, indotto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

Integra pratica commerciale scorretta, quindi, anche il non essere in grado di fare fronte a tutte le richieste di acquisto da parte dei consumatori.

Per contro, la scelta del metodo di adesione del consumatore all’offerta mediante meccanismo opt out anziché opt in, dato che la prassi non incide in misura apprezzabile sul comportamento economico del consumatore, non è, invece, una pratica scorretta in quanto non incide sulla possibilità del consumatore di autodeterminarsi.

Nell’ottica di tentare di massimizzare i profitti è facile incorrere, anche inconsapevolmente, in comportamenti scorretti che comportano significative conseguenze per l’operatore economico che le ha realizzate.